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Ictus e prevenzione: l'importanza di uno stile di vita corretto

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La giornata mondiale contro l’ictus cerebrale, celebrata nella giornata di ieri 29 ottobre, è anche quest’anno l’occasione per puntare i riflettori su un aspetto fondamentale nella lotta alla malattia: la prevenzione.

Su alcuni dei fattori che predispongono a questa patologia, come il sesso, l’età e la familiarità, purtroppo non possiamo intervenire, molti altri sono invece modificabili perché condizionati dal nostro stile di vita: tenere sotto controllo pressione, colesterolo, glicemia e malattie cardiache, soprattutto la fibrillazione atriale, secondo gli esperti è fondamentale. Altrettanto importanti sono l’eliminazione del fumo, il consumo contenuto di bevande alcoliche, lo svolgimento di una moderata ma regolare attività fisica e il rispetto di una dieta equilibrata, a basso consumo di sale. Inoltre, soprattutto per i pazienti che hanno già avuto un ictus, è di primaria importanza il monitoraggio costante dello stato di salute attraverso le visite di controllo.

Secondo gli specialisti, ci sono inoltre dei campanelli d’allarme che è importante non sottovalutare: non riuscire a muovere un braccio o una gamba, una diminuzione della forza degli stessi, una deformazione della bocca, non vedere bene metà o una parte degli oggetti, non essere in grado di coordinare al meglio i movimenti o di stare in equilibrio, non comprendere il linguaggio o avere difficoltà nell’articolazione delle parole, la comparsa di mal di testa violenti e localizzati devono ad esempio insospettirci. In questi casi il consiglio è quello di chiamare il prima possibile il 118.

A convincerci definitivamente dell’importanza della prevenzione sono le conseguenze gravi e drammatiche che l’ictus può determinare: secondo le statistiche, questa patologia rappresenta nel nostro paese la terza causa di morte e si stima che una persona su 4 ne sia colpita nel corso della propria vita. Il 10-20% dei pazienti muore entro un mese, cui si aggiunge un altro 10% che non supera il primo anno. I sopravvissuti sviluppano spesso un grado di disabilità elevato, che li priva definitivamente e a vari livelli della propria autonomia, e che rappresenta anche per le famiglie un costo enorme in termini emotivi.

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